Comparazione di leggi concernenti la ricerca (Italia, 1993-2008)

Paola Ferraris

 

Abstract: Italian laws promulgated between 1993 and 2008 concerning research are here compared. Until 2003 the Italian State financed the rationalization of research in order to improve the economical growth. But when the economical growth has failed, the Italian State razionalizes again the research cutting down on expenditure.

Dalla comparazione delle leggi promulgate in Italia tra il 1993 e il 2008 concernenti la ricerca, risulta che fino al 2003 lo stato ha finanziato una razionalizzazione della ricerca allo scopo di sostenere la crescita economica, mentre da quando il regresso economico è diventato evidente, razionalizza di nuovo la ricerca tagliandone il finanziamento.

1. Lo stato italiano finanzia e razionalizza la ricerca per sostenere lo sviluppo economico.

Nel Protocollo del 3 luglio 1993 [1993], sottoscritto da governo, Confindustria e CGIL-CISL-UIL, il paragrafo dedicato alla ricerca è il primo del capitolo sul «Sostegno al sistema produttivo»: si tratta di «ricerca e innovazione tecnologica». Il preambolo è chiaro: «Nella nuova divisione internazionale del lavoro e delle produzioni tra le economie dei Paesi più evoluti e le nuove vaste economie caratterizzate da bassi costi del lavoro, un più intenso e diffuso progresso tecnologico è condizione essenziale per la competitività dei sistemi economico-industriali dell’Italia e dell’Europa.» Dunque, «Alle strutture produttive di ricerca scientifica e tecnologica, il Paese deve guardare come ad uno dei principali destinatari di investimenti per il proprio futuro.» Tuttavia, «L’attuale sistema della ricerca e dell’innovazione è inadeguato a questi fini. Occorre una nuova politica per dotare il Paese di risorse, strumenti e "capitale umano" di entità e qualità appropriata ad un sistema innovativo, moderno, finalizzato e orientato dal mercato.»

Per le strutture di ricerca pubbliche, come le Università, serve «una migliore finalizzazione delle loro attività»: mediante «lo sviluppo di progetti di ricerca promossi dalle imprese sui quali far convergere la collaborazione delle università», dato che «un più stretto rapporto tra mondo dell’impresa e mondo dell’università potrà inoltre rilanciare, anche attraverso maggiori disponibilità finanziarie, una politica di qualificazione e formazione delle "risorse umane"», formando ricercatori «strettamente connessi con le esigenze delle attività produttive».

Si concorda poi sulla «creazione di strutture di ricerca esterne sia ai complessi aziendali che alle strutture pubbliche, alla cui promozione, sostegno ed amministrazione siano chiamati soggetti privati e pubblici in forme costitutive diverse. (...) Interessanti prospettive possono discendere dalla recente introduzione di nuovi intermediari finanziari rivolti al capitale di rischio (fondi chiusi, fondi d’investimento, venture capital, previdenza complementare)».

Nel paragrafo successivo, dedicato a «Istruzione e formazione professionale», si riformula lo stesso obiettivo del «miglioramento della competitività del sistema produttivo» (inclusa la qualità dei servizi ad esso necessari), per cui puntare a estendere il «raccordo sistematico» formazione-lavoro a tutti i livelli, fino alla «preparazione di quadri specializzati nelle nuove tecnologie».

Questa razionalizzazione della ricerca perché produca risultati e formi il personale secondo le esigenze e, possibilmente, su commissione e col contributo del mercato, trova almeno parziale attuazione con la riforma delle università e poi delle accademie nel 1999. Si applica così in Italia la «dichiarazione solennemente sottoscritta a Bologna il 19 giugno 1999» con altri 28 Paesi, in cui si era convenuto di adottare: «un sistema di titoli di semplice leggibilità e comparabilità al fine di favorire la immediata idoneità all’impiego dei cittadini europei e la competitività internazionale del sistema europeo dell’istruzione superiore», per assicurare ai laureati «un più proficuo rapporto con la società e il sistema produttivo» e per fare del sistema formativo un «insostituibile fattore di crescita economica»[2000a].

Con le «norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei» [1999a] si introduce la cosiddetta «laurea breve» di 3 anni («L»), destinata a dare «un’adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, nonché l’acquisizione di specifiche conoscenze professionali», mentre la laurea specialistica («LS») deve servire allo «esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici». Neanche per il corso di specializzazione si parla di formazione alla ricerca. La massima attenzione viene data a «garantire effettiva coerenza tra durata programmata e durata effettiva dei corsi di studio»: con il sistema dei «crediti formativi universitari», corrispondenti a 25 ore di lavoro per studente, mentre «la quantità media di lavoro di apprendimento svolto in un anno da uno studente impegnato a tempo pieno negli studi universitari è convenzionalmente fissata in 60 crediti». Su questa base viene calcolata quantità e tempistica degli esami, in modo tale da far controllare ogni porzione dell’apprendimento per assicurarne il tempestivo completamento.

La riforma delle Accademie di Belle Arti e degli Istituti superiori di studi musicali e coreutici [1999b] segue lo stesso schema, senza arrivare a una reale parificazione con le università (p.e. i titoli di studio equivalgono solo per i concorsi pubblici). Apporta comunque maggiori finanziamenti, indicando per gli autonomi regolamenti didattici la finalità della «programmazione dell’offerta formativa sulla base della valutazione degli sbocchi professionali»: questo richiede una «considerazione del diverso ruolo della formazione del settore rispetto alla formazione tecnica superiore (...) e a quella universitaria», alle quali lo studente può essere indirizzato, con i suoi crediti valutabili, nel caso vi si vedessero maggiori sbocchi professionali. La «formazione alla ricerca» è contemplata, per l’arte, ma soltanto successivamente alle due lauree.

Conclude questa fase, per le università, la definizione delle classi delle lauree, «brevi» e «specialistiche» [2000ab]: si notano, anche al secondo livello, nuove discipline dal presumibile intento professionalizzante come «Discipline della comunicazione sociale e istituzionale», «Editoria, comunicazione multimediale e giornalismo», «Organizzazione e gestione dei servizi per lo sport e le attività motorie», «Progettazione e gestione dei sistemi turistici e degli eventi culturali», «Programmazione e gestione dei servizi formativi e psico-pedagogici», «Programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali», «Pubblicità e comunicazione d’impresa», e «Progettazione e sperimentazione nei settori delle comunicazioni visive e dello spettacolo». Simili professioni richiedono un aumento di consumi privati e spesa pubblica.

Infine, con la legge del 2003 su «istruzione e formazione professionale» [2003], ancora si predispone «un piano programmatico di interventi finanziari... a sostegno» delle riforme da attuare, «dello sviluppo delle tecnologie multimediali e della alfabetizzazione nelle tecnologie informatiche (...), al fine di incoraggiare e sviluppare le doti creative e collaborative degli studenti», della «valorizzazione professionale» di docenti e non docenti, e delle «pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le capacità e le competenze, attraverso conoscenze e abilità, generali e specifiche, coerenti con le attitudini e le scelte individuali, adeguate all’inserimento nella vita sociale e nel mondo del lavoro». Più specificamente si predispone per gli studenti tra i 15 e i 18 anni «la possibilità di realizzare i corsi del secondo ciclo in alternanza scuola-lavoro», per acquisire «competenze spendibili nel mercato del lavoro».

2. Lo stato italiano razionalizza di nuovo la ricerca alle condizioni del regresso economico.

Benché solo in questi ultimi tempi sia stato acclarato e dichiarato, anche per l’Italia, il regresso economico in atto, la diminuzione del PIL è stata preparata da un cronico rallentamento della crescita e indebolimento di ciascuna ripresa: con una progressiva riduzione della spesa pubblica in servizi sociali, dei consumi, e pure delle produzioni tecnologiche.

Un momento di transizione si può cogliere, quanto al sostegno statale alla ricerca, nella legge del 2005 [2005] riguardante «i professori e i ricercatori universitari»: dove i primi due articoli ribadiscono un concetto di università che «coniuga in modo organico ricerca e didattica», con professori che godono di «piena libertà di scelta dei temi e dei metodi delle ricerche» nonché «esercitano infine liberamente attività di diffusione culturale». Tuttavia il nocciolo del provvedimento si trova negli articoli 12 e 13, dove l’effettiva attuazione delle ricerche è demandata all’eventuale finanziamento da altri enti: sia per «specifici programmi di ricerca» per i quali assumere a proprie spese anche nuovi professori temporanei, sia mediante «convenzioni con imprese o fondazioni, o con altri soggetti pubblici o privati, con oneri finanziari posti a carico dei medesimi, per realizzare programmi di ricerca affidati a professori universitari»; purché senza spesa pubblica.

Questa misura volta al contenimento dei costi statali della ricerca mantiene per i professori la libertà di scelta tra perseguire i propri progetti coi limitati fondi universitari (oppure a proprie spese), e cercare un incarico da committenti.

Il passo successivo segna un cambiamento nel contesto legislativo delle misure per la ricerca, e nel loro lessico: il capitolo su «Istruzione e ricerca» della Legge 133 del 2008 [2008a] si trova infatti nel mezzo di una lunga serie di «disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», dove le premesse generali stanno nel contenimento del debito pubblico e della caduta del PIL.

Anche nello specifico, il primo articolo intende far fronte alla crisi dei consumi culturali disponendo il passaggio, per tutti i livelli di istruzione, dai libri a stampa ai «libri utilizzabili nelle versioni on line scaricabili da internet o mista». Segue, all’articolo 16, la «Facoltà di trasformazione in fondazioni delle università», che comporta il trasferimento dei loro beni immobili, e dei professori oltreché degli studenti, alle dipendenze dei nuovi enti di diritto privato, per i quali «resta fermo il sistema di finanziamento pubblico», mentre le «disposizioni vigenti per le Università statali» si applicano solo «in quanto compatibili con il presente articolo e con la natura privatistica delle fondazioni medesime».

Questa possibilità facoltativa va confrontata col capitolo sul «Contenimento della spesa per il pubblico impiego», da integrare con le «Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca» del successivo decreto-legge del 10 novembre 2008 [2008c]. In quel capitolo della legge 133 si tratta della «razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili»: per il sistema scolastico pre-universitario, specificando misure di riduzione degli istituti, dei docenti e non docenti (integrate dal decreto legge 137 [2008b]) e degli insegnamenti; per l’università, accorpata alle altre amministrazioni di servizi sociali nell’articolo sul «turn over», si determina una drastica riduzione di professori e ricercatori, oltre al taglio dei finanziamenti ordinari.

Con il decreto legge 263 del 10 novembre che tratta della «distribuzione delle risorse stanziate» al «sistema universitario e della ricerca», queste misure sono modificate e integrate, fermi restando gli «obiettivi di risparmio» della legge 133 ritoccati solo quanto ai finanziamenti ordinari. Si introduce il criterio della parità di bilancio, a dividere le università che non possono affatto procedere all’assunzione di personale e «sono escluse dalla ripartizione» di una quota dei fondi statali, rispetto a quelle che invece potranno rimpiazzare i professori pensionati entro una spesa del 50 %, assumendo per almeno il 60% «ricercatori a tempo determinato e indeterminato» e per non oltre il 10 % professori. Inoltre, i minori tagli ai finanziamenti saranno differenziati tra le università, secondo criteri da precisare in provvedimenti legislativi ulteriori, tra i quali criteri spicca come più facilmente misurabile la quota di laureati.

3. Conclusioni.

Considerando i rappresentanti politici di volta in volta al governo come non indipendenti dal sistema sociale in cui sono stati eletti e che sono chiamati a preservare, oltreché dalle condizioni di sviluppo in cui tale sistema si trova, questa comparazione non prende in esame la provenienza politica né cerca di inferire la volontà politica delle leggi in merito.

Dal lessico e dal contenuto di queste misure legislative si desumono solo le condizioni poste dallo stato alla ricerca. In questo contesto, si può individuare dagli anni ’90 una prima fase in cui lo stato intende per razionalizzazione della ricerca la sua organizzazione per i fini concordati con i rappresentanti delle parti sociali, imprenditori e sindacati: la spesa pubblica può essere incrementata perché è un investimento, che stimola altri investimenti privati e concorre alla competitività, sia della produzione italiana sul mercato internazionale, sia dei tecnologi italiani sul mercato del lavoro. Di conseguenza, in questa fase si promuove una formazione alle tecnologie applicate (in prodotti come in servizi) più che alla ricerca scientifica detta fondamentale, in tutti i campi, dalle scienze della natura alla psicologia e all’arte.

Tuttavia il presupposto che questa ricerca così razionalizzata assicurasse «un più intenso e diffuso progresso tecnologico», ovvero che questo potesse garantire «la competitività dei sistemi economico-industriali dell’Italia e dell’Europa» non si è realizzato: che stia l’errore nell’aver trascurato la ricerca fondamentale, o nelle scelte della committenza industriale e dei servizi anche pubblici, o ancora, nella sovraproduzione di merci rispetto ai salari dei consumatori (una contraddizione inerente alla competitività), o meglio in una combinazione di tutti questi fattori.

A questo punto, negli anni più recenti per lo stato la razionalizzazione della ricerca passa a significare solo contenimento di una spesa diventata generalmente poco funzionale. La natura dei criteri di merito nella distribuzione di ogni tipo di risorse così ridotte, non sembra avere a che fare con la qualità e nemmeno coi risultati della ricerca nelle università e nelle accademie, ma con l’indurre comportamenti anche autonomamente funzionali a ridurre la spesa (trovando altri fondi da enti e studenti, come con la trasformazione in fondazioni; e producendo laureati comunque).

D’altra parte, la domanda per i professionisti delle tecnologie applicate, già prodotti dalla ricerca razionalizzata, si sta evidentemente riducendo di numero e di livello anche nei settori già detti avanzati: e perfino nella libera professione dell’arte, i candidati alla ricerca su commissione si propongono alle imprese, nel convegno Art for business [Forum, 2008], per mere applicazioni tecniche dell’arte «come strumento di valorizzazione del marchio», che «fa parlare l’impresa», oppure potrebbe collaborare alla «formazione manageriale». Tutti servizi già maturi e non più in crescita.

In conclusione, dopo aver indirizzato i ricercatori a cercare [Lombardo, 1975, 2004] su commissione, sono risultati inutili o comunque sovrabbondanti ai fini della conservazione del sistema economico: non diversamente dalla comune forza-lavoro rispetto alla quale avrebbe dovuto distinguerli il ruolo dichiarato fondamentale per lo sviluppo necessario. Se ne può derivare che ogni razionalizzazione della ricerca per qualunque tipo di committenza o domanda sociale non può garantire nemmeno per un decennio l’utilità ovvero il finanziamento della ricerca che si è così indirizzata a cercare.

Le fait est qu’on ne vous paye jamais pour être libre.



Note

1993, 3 luglio, Schema di protocollo sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro e sul sostegno al sistema produttivo.

1999a, 3 novembre, Decreto n. 509, Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei.

1999b, 21 dicembre, Legge n. 508, Riforma delle Accademie di belle arti, dell’Accademia nazionale di danza, dell’Accademia nazionale di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati.

2000a, 4 agosto, Decreto n. 245-2000, Determinazione delle classi delle lauree universitarie.

2000b, 28 novembre, Decreto n.18-2001, Determinazione delle classi delle lauree universitarie specialistiche.

2003, 28 marzo, Legge n. 53, Delega al Governo per la definizione delle norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale.

2005, 4 novembre, Legge n. 230, Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori ordinari.

2008a, 6 agosto, Legge n. 133, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

2008b, 1 settembre, Decreto n. 137, Disposizioni urgenti in materia di istruzione e universita'.

2008c, 10 novembre, Decreto n. 180, Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca.

Forum 2008, Art for business, Milano, 13-15 novembre 2008.

Lombardo, S., Arte e ricerca (1975), in L’avanguardia difficile, Roma, Lithos, 2004.



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